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Journal

Iyengar News Pratica Scienza Yoga Studies

07 Dicembre 2023

Il Prisma dello Yoga

Chiara M. Travisi


 

YS1.41 - kṣīṇavṛtterabhijātasyevamaṇergrahītṛgrahaṇagrāhyeṣu tatsthatadañjanatā samāpattiḥ ||

 

[Tuttavia, urge] approdare alla concordanza (samāpatti), ossia alla condizione in cui [gli effetti delle] vorticosità [mentali] sono quasi estinti (kṣīṇa): cosí è la gemma completamente trasparente, [finalmente] capace di prender la tinta di qualsiasi oggetto le sia posto dinnanzi, [palesando la concomitanza che] vi è tra coglitore (grahītṛ), cogliere (grahaṇa) e colto (grāhya).

[Yoga Sūtra di Patañjali 1.41]

 

Una Visione Prismatica e Unificante

 

Vorrei proporre qualche riflessione sulla visione prismatica e unificante che dovrebbe essere l’esito atteso delle filosofie di esercizio chiamate ‘yoga’, sull’onda di un disagio che mi si è accesso recentemente in merito alla relazione tra ‘yoga’, suoi principi etici e dibattiti su temi di attualità. Il disagio nasceva dal fatto che yoga si è visto associato (sui social) a discorsi divisivi profondamente in contrasto con i suoi principi etici.

Lasciando perdere i casi particolari, credo che il servizio più utile che si possa fare come insegnanti di ‘yoga’ (sui social e non), rispetto a temi di attualità, sia anzitutto evitare la sua strumentalizzazione a fini di parte. Si, perché in virtù dei valori positivi che esso incarna (non violenza, verità, rispetto, vita di comunità, spiritualità, ecc.) è a forte rischio di essere utilizzato a supporto di posizioni incoerenti rispetto ai suoi effettivi presupposti etici, per mascherarne il reale messaggio. È sempre successo, sia chiaro, ed in merito c’è una discreta letteratura per chi fosse interessato ad approfondire. Succede sia sul piano economico, dove ‘yoga’ è usato come un passe-partout per fini di marketing, e succede anche in discorsi politici ad esempio quelli del nazionalismo hindu, o quelli odierni inerenti alla devastante tragedia della striscia di Gaza dove ‘yoga’ si è visto associato a posizioni ad esso totalmente incoerenti.

 

Anticorpi Yogici contro l’Abitudine a Dividere

 

Yoga non dovrebbe essere ‘pro domo mea’ o ‘pro domo sua’. Mi augurerei invece che il menzionare ‘yoga’ all’interno di dibattiti di attualità ci aiutasse a sviluppare degli anticorpi, potenti, a discorsi divisivi (di genere, di nazionalità, di cultura, di etnia, ecc.), anticorpi all’intolleranza e alla discriminazione, anticorpi a qualunque tentativo di negoziare con la violenza o violare i diritti alla persona. Evocare ‘yoga’ come strategia di camouflage di discorsi divisivi credo svilisca ‘yoga’ e la sua comunità allargata ed è, non solo triste, ma anche inaccettabile.

 

Non contesto ovviamente il diritto di ciascuno di prendere posizione ed avere una opinione personale: auspico semplicemente che ci si sforzi di evitare anzitutto un uso strumentale di ‘yoga’.

Inoltre, nella narrazione iper-semplificata dei social, anche la polarizzazione e la dicotomizzazione dei discorsi va gestita con cautela, per non cadere in un appiattimento dei contenuti che si cerca di veicolare, magari con le migliori intenzioni, e scivolando in un confronto tra ‘schieramenti’, che di fatto impedisce a un ragionamento critico e articolato, sempre utile, di emergere. Credo che nessuna polarizzazione netta possa aiutarci a ridurre la complessità della società ad una ragionata decodifica né possa aiutarci a sviluppare una capacità critica e di discriminazione.

 

La reductio ai minimi termini ci sarà, a un certo punto, perché è cosi che tende a procedere la cognizione umana, ed essa deve infine necessariamente arrivare ad un ‘verdetto’ per non rimanere in stallo, paralizzata. Farsi opinioni e prendere decisioni è un po’ schierarsi, certo. Tuttavia, il passare da un percorso ad imbuto, quale è il processo decisionale di elaborazione delle informazioni, ci deve richiedere quantomeno momenti di digestione e approfondimento, e soprattutto il riconoscere tutti i chiaro/scuri di ogni discorso di parte. Chiaro/scuri che, onestamente, albergano in ogni essere umano, comunità e società di ogni luogo e tempo.

 

Capovolgere l'imbuto polarizzante del processo decisionale in un movimento inclusivo

 

Tornando dunque al tema di questo ragionamento, ovvero principi etici di ‘yoga’, discorsi di attualità e uso di ‘yoga’, è proprio a livello della strozzatura del processo decisionale che tenderebbe a farci ‘schierare’ da una parte o dall’altra che, credo, ‘yoga’ possa e debba aiutarci a capovolgere l’imbuto, trasformando il movimento polarizzante e divisivo (io-tu, noi-loro, soggetto-oggetto, ecc.) in un movimento unificante, inclusivo ed espansivo.

 

Del resto, questo movimento verso sensazioni empatiche, di tolleranza e vicinanza all’altro (e in generale una maggiore permeabilità con ciò che è esterno a noi), sono uno degli effetti attesi di queste pratiche, che vanno naturalmente assai oltre le forme iconiche degli asana con le quali la narrazione visuale contemporanea (soprattutto nei social media) ci ha spesso abituato ad associarle, appiattendole monodimensionalmente sul piano del fitness o dell’estetica, anche senza che vi fosse una intenzionalità esplicita a farlo. E qui senz’altro potremmo aprire un lungo mea culpa.

 

In effetti, se ci affidassimo alla grande letteratura ‘yoga’ troveremmo tantissimi discorsi e argomentazioni circa l’effetto nefasto del ‘dividere’. Dunque, per ‘yoga, il ‘relativismo’ di giudizio (e il legittimo ‘schierarsi’) finisce laddove, risalendo a ritroso tutte le dicotomie che separano e categorizzano la realtà per il bisogno costitutivo di semplificare al fine di agire, si giunge all’a-priori che ci accomuna tutti, ovvero l’essere umani. Qui inizia la linea invalicabile, ovvero il piano dei valori etici universali a cui ‘yoga’ fa riferimento (detti #mahavrata, grande voto) e che non hanno bandiera perché sono validi per tutte le terre (#sarvabauma) – indipendentemente dalla condizione di nascita (#jati: cultura, classe sociale, etnia, ecc.), luogo di provenienza (#desa) e tempo (#kala) – e, quindi, superiori alla piccolezza dei nostri discorsi parcellizzanti.

 

Questa linea di confine è descritta mirabilmente in Yoga Sutra 2.30-2.34 (per chi avesse voglia di approfondire), ma le astensioni (#yama) e le prescrizioni (#nyama) erano trasversali alle molteplici e polisemiche tradizioni del corpus di filosofie dell’esercizio yogico. Così ovvie da essere considerate preliminari all’inizio della #sadhana. Come a dire, se non concordiamo su quelli, tanto vale non menzionare neanche ‘yoga’. E per coloro che potrebbero essere tentati (ho ricevuto vari commenti di questo tipo) di citare il dilemma di Arjuna nella Bhagavadgita, e la sua risoluzione finale di agire combattendo i suoi stessi parenti, vorrei ricordare loro che questa è una metafora dello stallo che una iper-proliferazione di pensieri può generare nella mente (e anche un discorso sul dharma) e non un inno alla guerra. E se mai lo fosse, allora dovremmo porci serie domande su questo testo. Ma non lo è.

 

Leggete questa potentissima manciata di versi dagli Yoga Sutra di Patanjiali:

 

YS 2.28. yogāṅgānuṣṭhānād aśuddhikṣaye jñānadīptir āvivekakhyāteḥ ||

[Tuttavia, è solo] dall’attendere ai membri del metodo (yogāṅgānuṣṭhāna) che, distrutta l’opacità (aśuddhikṣaya), sorge il bagliore della comprensione (jñānadīpti) [del come stanno le cose], ponendo [appieno lo yogin] entro il dominio del discernimento volto al discrimine (āvivekakhyāti).

 

YS 2.29. yamaniyamāsanaprāṇāyāmapratyāhāradhāraṇādhyāna- samādhayo ’ṣṭāv aṅgāni ||

Gli ottomembri(aṅga)[delmetodo]sono: le astensioni (yama), le prescrizioni (niyama), la stasi (āsana), il confino del respiro (prāṇāyāma), il rivolgimento (pratyāhāra), il trattenimento (dhāraṇā), la visione inintenzionata (dhyāna), il samādhi.

YS 2.30 - ahiṃsāsatyāsteyabrahmacaryāparigrahā yamāḥ ||

Le astensioni (yama) sono: non nuocere, non dire falsità, non rubare, non compiere at- tività sessuale, non trattenere [nulla per sé].

YS 2.31 - jātideśakālasamayānavacchinnāḥ sārvabhaumā mahāvratam ||

[Tuttavia, dette astensioni,] valide per tutte le terre (sārvabhauma), costituiscono il ‘grande voto’ (mahāvrata) [solo] nel caso in cui non siano riconducibili (anavacchinna) a questioni di nascita (jāti), di regione di provenienza (deśa), di cir- costanze temporali (kāla) e di consuetu- dini (samaya).

YS 2.32 - śaucasaṃtoṣatapaḥsvādhyāyeśvarapraṇidhānāni  niyamāḥ ||

Le prescrizioni (niyama) sono: pulizia, appagamento, ardore [nella disciplina], reci- tazione privata, dedizione al dio.

YS 2.33 - vitarkabādhane pratipakṣabhāvanam ||

[Astensioni e prescrizioni servono poiché] vi sono ovunque intralci (bādhana) dovuti ai moti pulsionali (vitarka): occorre la coltivazione di un’indole (bhāvana) antitetica (pratipakṣa)45.

YS 2.34 - vitarkā hiṃsādayaḥ kṛtakāritānumoditā lobhakrodhamohapūrvakā mṛdumadhyādhimātrā duḥkhājñānānantaphalā iti pratipakṣabhāvanam ||

[Tale]indole antitetica [si coltiva ritenendo] che i moti pulsionali, a cominciare dal nuocere e cosí via46, quand’anche siano direttamente svolti, fatti svolgere o assecondati, sono sempre animati dalla cupidigia, dall’ira o dall’illusione – seppur in forma tenue, media o intensa –, e in ultimo danno, come frutti, inesauribile disagio e un’ignoranza senza fine.

 

 

Dove Termina la Neutralità di Giudizio

 

Attenzione dunque a non confondere il mio ragionamento con una chiamata al disinteresse rispetto a temi di attualità. La neutralità (la mia perlomeno) finisce dove inizia una violazione dei principi etici, dei #mahavrata, e questo non dovrebbe nemmeno richiederci di ‘scomodare’ ‘yoga’, tanto si tratta di principi morali ovvi. Eppure, eppure eccoci qui a dover puntualizzare, a soppesare le parole come se il principio di ‘non-violenza’ fosse qualcosa di complesso e sofisticato applicabile con discrezionalità. Da questa distorsione collettiva che ammette e fa distinguo, che individua casistiche giuridiche in cui la violenza è ammissibile, puntualizza ed eccepisce per giustificare aggressioni e intolleranze, da qui discende la necessità che ‘yoga’ sia strumento non solo di crescita personale ma che questo cambio di prospettiva indotto da ‘yoga’ (da sguardo che separa a sguardo che integra) ci aiuti, a fini collettivi, a contribuire (seppur in minima parte) allo sviluppo di una cultura di tolleranza. In questo senso, credo ‘yoga’ stesso sia felice di essere scomodato in dibattiti contemporanei.

 

Lasciamo dunque che ‘yoga’ faccia quello che può e deve fare, ovvero darci la capacità discriminativa (#vivekadarsana) di riconcettualizzare il nostro sguardo, facendoci unire ciò che potrebbe apparirci separato. E se #yoga è utopia, a me sta bene così e almeno, lasciamoci tutti ispirare.

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