Journal
Iyengar News Pratica Scienza Yoga Studies
28 Novembre 2019
Yoga e infortuni da vanità
Chiara M. Travisi
Il dibattito sui potenziali rischi di incorrere in infortuni praticando yoga non è recente e periodicamente viene rilanciato da testate giornalistiche internazionali con argomenti più o meno circostanziati.
Nel 2013 fece scalpore il libro “The Science of Yoga: The Risks and the Rewards”, firmato dal due volte vincitore del premio Pulitzer W. J. Broad, che presentava alcune allarmanti statistiche di infortuni e incidenti avvenuti negli Stati Uniti durante lezioni di yoga. Il libro denunciava, con onestà intellettuale, il problema cruciale all’origine degli infortuni: ovvero quello della qualità degli insegnamenti impartiti e quindi degli insegnanti. D’altra parte, Broad sottolineava i potenziali rewards (benefici) derivanti dalla pratica mettendo in luce che laddove c’è competenza lo yoga è una risorsa. La tradizione di B.K.S. Iyengar ne usciva altresì in una luce molto favorevole, con numerosi riferimenti ad insegnanti Iyengar che hanno e stanno dedicando la propria vita alla scienza dello Yoga, tra cui Mel Robin autore del libro “Handbook for Yogasana Teachers: the Incorporation of Neuroscience, Physiology and Anatomy into the Practice”.
La novità attuale è che, accanto al problema della qualità degli insegnamenti e degli insegnanti, ad essere “sotto accusa” è niente di meno che la vanità di insegnanti e praticanti. Un bellissimo articolo del 3 Novembre su The Telegraph, rilanciato subito dopo da BBC News, Glamour e altre testate, ha denunciato chiaramente come lo yoga venga oggi praticato principalmente per motivi estetici e di moda, con effetti dirompenti (letteralmente) sulla salute di schiene, anche, ginocchia dei praticanti. Come si legge nell’articolo, gli insegnanti Instagram-conscious – cioè consapevoli dell’importanza odierna di esibirsi su Instagram per autopromuoversi e darsi valore – sono sempre più di frequente vittime di infortuni nel tentativo di farsi ritrarre in pose difficili ed essere quindi etichettati, sui social media e fuori, come bravi insegnanti ed esperti. D’altra parte, la tendenza a praticare sport per esibirsi successivamente sui social è trasversale e non riguarda solo lo yoga. Nella comunità yoga, tuttavia, l’aggravante, se così possiamo definirla, è che la pratica dello Yoga avrebbe appunto come nodo centrale la risoluzione del problema cognitivo dell’auto-rappresentazione e personificazione egoica causata dal contatto tra visto e vedente (samyoga). Siamo al paradosso.
Nello Yoga, ogni sforzo profuso (tapas) dovrebbe avere uno scopo genuino (prayojana) e non certo uno scopo indotto in modo vicario da mode, cliché e ambizioni a raggiungere uno status sociale. Vale dunque la pena tornare a domandarsi perché si pratica yoga. Se la risposta è “per stare meglio”, “per farmi passare il mal di schiena”, “per avere maggiore consapevolezza”, “per essere meno stressato” siamo ancora sulla buona strada. Altrimenti, presto cambieremo pratica, seguendo la nuova moda, o cercheremo di diventare insegnanti di yoga (pur da praticanti principianti) perché quello status è socialmente riconosciuto e avvalorante.
 
Bibliografia
Mel Robin (2009). Handbook for Yogasana Teachers: the Incorporation of Neuroscience, Physiology and Anatomy into the Practice. Wheatmark Eds
 
William J. Broad (2013). “The Science of Yoga: The Risks and the Rewards”
 
 
BBC News (2019) “Yoga teachers ‘risking serious hip problems”
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Il Prisma dello Yoga
Lasciamo che ‘yoga’ faccia quello che può e deve fare, ovvero darci la capacità discriminativa e prismatica di riconcettualizzare il nostro sguardo sul mondo, facendoci unire ciò che potrebbe apparirci separato, sviluppando una attitudine inclusiva, unificante e tollerante e fondata sui suoi principi etici in ogni contesto. E se #yoga è utopia, l’utopia di un percorso individuale per creare una comunità fondata sulla giustizia, a me sta bene così e, almeno, lasciamoci ispirare!